I troppi divari tra sud e Italia
Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno
Nelle ultime settimane si sono susseguiti una serie di eventi di studio e confronto sul Mezzogiorno, che hanno di fatto coinvolto tutti i massimi esperti. A maggio abbiamo avuto la kermesse del Ministro per il Sud, pochi giorni fa 3 giorni di riflessione di Merita e Fondazione Nitti a Maratea e a metà giugno l’evento di presentazione della grande ricerca della Banca d’Italia.
Partirei da una discussione di questo rapporto che deve a mio parere rappresentare la base per qualunque discussione sul Mezzogiorno in futuro.
Il Rapporto sintetizza e discute una messe straordinaria di lavori sui tanti aspetti del divario: Credo che mai in passato una istituzione abbia prodotto uno sforzo paragonabile di comprensione di un fatto economico così rilevante per il nostro paese.
In questo la Banca, che di fatto possiede la struttura di ricerca economica di maggiori dimensioni del paese e di ottima qualità, dimostra di prendere sul serio il proprio ruolo di servizio pubblico. Le dimensioni e l’ampiezza di temi del lavoro sono tali da non essere sintetizzabili. Proverò a enucleare alcune risultanze a mio parere più significative, ovviamente con una lettura critica personale.
E’ falso che l’Italia sia un unicum in Europa per il divario territoriale, e persino la divergenza ulteriore degli ultimi anni non è sostanzialmente diversa dalla media dei maggiori paesi europei. Con l’eccezione della Germania, la divergenza tra aree in ritardo e centrali nei paesi avanzati (Euro a 15) è un fatto economico generale, determinato da potentissimi vantaggi economici reali. Non si tratta di un fatto nuovo, ma fatica a diventare parte della narrativa comune.
Il divario di PIL tra Mezzogiorno e Centro nord non è un mistero da nessun punto di vista, perché prodotto da divari di proporzioni notevoli su tutti i fattori di sviluppo, principalmente investimenti, in capitale fisico ed umano, innovazione, struttura delle imprese. Che si trasformano in divari di produttività e occupazione.
L’investimento in capitale fisico su PIL dopo il calo fisiologico degli anni 70, è crollato in Italia, e molto di più al sud, in due episodi causati da crisi del debito (1992, 2009). Prima della metà degli anni 90 il rapporto Investimenti/PIL era maggiore al sud, dopo diventa uguale, e dopo il 2008 significativamente minore. C’è un fattore ovvio, il calo degli investimenti pubblici, e uno meno ovvio il crollo degli investimenti privati.
Considerando che l’Italia è uno dei paesi col maggiore risparmio privato, è chiaro che si tratta di crisi di fiducia, ma appare anche singolare la tesi di chi sostiene che il debito sia irrilevante. A non fidarsi del proprio paese, e soprattutto del Mezzogiorno, e quindi non investire su di esso sono gli italiani, non gli stranieri.
Per quanto riguarda il calo degli investimenti pubblici, che sicuramente è un errore di policy, i molti detrattori delle politiche che li hanno determinati spesso si scordano di raccontare quali altri tagli alla spesa si dovevano fare per rimanere su una traettoria di (temporanea) stabilità, per evitarli. I tentativi di tagliare la spesa pensionistica ad esempio, poco meno di un terzo di tutta la spesa pubblica, hanno determinato un odio sociale straordinariamente profondo, cavalcato senza scrupoli da alcune forze politiche. Il gap ancora più preoccupante però è quello del capitale umano. Tassi di abbandono maggiori e nonostante questo, performance dei rimanenti molto peggiore nei test INVALSI al sud. L’aspetto veramente terrificante però è che il gap non è sempre uguale. Quasi nullo alle elementari esplode alle medie e cresce alle superiori.
Curiosamente questa evidenza, che suggerisce (in assenza di qualsivoglia gap di spesa) che c’è qualcosa di grave che succede nella scuola media al sud, viene sistematicamente ignorata. Purtroppo essa suggerisce anche che l’intervento sugli asili nido potrebbe non avere gli effetti miracolosi che ci aspettiamo. I ragazzi del sud non entrano nella scuola con un gap, lo acquisiscono dopo.
L’evidenza più terribile però riguarda il divario di qualità istituzionale tra nord e sud in Italia. Esso è comparativamente molto maggiore di quello economico (PIL). Incredibile la comparazione tra l’Italia e il Regno Unito.
Abbiamo un divario economico molto minore del Regno Unito, dovuto alla più consistente redistribuzione di risorse tra aree, ma un divario territoriale di qualità istituzionale (come misurata dalla EU), incomparabile. Incomparabile in realtà con quello di qualunque altro paese europeo.
Forse sarebbe arrivato il momento di guardare con occhi nuovi alla vecchia frase, di solito solo retoricamente citata, secondo la quale solo il sud può salvare sé stesso. Ma non pare questa la retorica prevalente nell’opinione pubblica meridionale.
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