Ecco quali sono i colli di bottiglia che mettono a rischio la ripresa
Giuseppe Coco - Osservatorio Riparte l'Italia
Nelle ultime settimane sono emersi una sequenza di allarmi su potenziali fattori di squilibrio nell’ambito della ripresa robusta che sta caratterizzando i mercati mondiali.
E’ difficile al momento anticipare se ci saranno effetti duraturi da questi squilibri o se siano temporanei. Alcuni di essi sono dovuti a fattori da affrontare anche con interventi di policy, di altri sarà bene attutire gli impatti di breve periodo, ma non per tutti come vedremo è opportuno intervenire.
L’ultimo allarme in ordine di tempo è quello relativo al costo dell’energia di cui si enfatizzano spesso gli effetti sui consumatori, ma che potrebbe avere riflessi più importanti sulle imprese ed in particolare su quelle energivore. Il rincaro atteso che si scaricherà in bolletta per effetto delle scadenze regolatorie nel mese di ottobre ha molte ragioni.
Oltre a consumi in ascesa repentina per effetto della ripresa, impattano molto i prezzi dei combustibili fossili che sono aumentati notevolmente e le cui forniture dai partner storici dell’UE sono diminuite per effetto della ripresa forte dell’Asia. Da questo punto di vista la scelta di diversificare le fonti di energia fossili, in particolare il meno impattante gas naturale, attraverso il TAP, è stata lungimirante. Un ruolo importante ce l’hanno poi i prezzi dei diritti di emissione di CO2 che le grandi imprese devono pagare per tonnellata immessa in atmosfera nell’ambito del sistema comunitario ETS. Si tratta di uno sviluppo complessivamente necessario ma che si è combinato nel momento sbagliato con gli altri fattori.
Tuttavia non appare utile in questo momento mettere in discussione scelte fatte nel consenso generale solo pochi mesi fa. Che la transizione ecologica fosse anche molto costosa era un fatto scontato e che gli esperti avevano predetto ampiamente. Essa diventa un fattore di sviluppo nel momento in cui si investe molto e si diventa autosufficienti nel lungo periodo, possibilmente da protagonisti industriali della transizione stessa, ma nella transizione si pagano costi significativi.
La risposta appropriata per il momento consiste nell’attutire gli effetti degli aumenti di prezzo sui più fragili, ma senza annullare le fluttuazioni di mercato per due ragioni.
La prima è che i consumatori devono reagire con azioni di risparmio energetico a prezzi in crescita e paradossalmente questa può essere una occasione per stimolare una maggiore disciplina. Nella famosa crisi del settore elettrico della California del 2001, oltre agli effetti delle manipolazioni di mercato di Enron e alle eccezionali condizioni climatiche, a determinare il crollo dell’intero sistema fu il fatto che i prezzi al consumo erano fissati con norma, per ragioni di popolarità politica, e quindi i consumatori non reagirono con consumi energetici inferiori proprio mentre si verificava il più massiccio taglio di offerta della storia dello Stato.
Forse questa è l’occasione per far capire ad alcuni consumatori che non è saggio in certi uffici, ma anche nelle abitazioni, impostare temperature invernali d’estate e estive d’inverno. La seconda ragione è che prezzi dell’energia stabilmente più alti sono un fatto non transitorio per effetto delle tasse sulla CO2.
Pertanto le misure di contrasto devono essere necessariamente transitorie e selettive. E bisogna continuare invece a focalizzarsi sul lungo termine della transizione.
La questione energetica comunque non è la sola che preoccupa. Menzionerò solo due dei colli di bottiglia dei mercati mondiali che stanno generando effetti importanti.
Il costo del trasporto di beni via mare sta aumentando in maniera consistente e prolungata da due anni circa. Il prezzo standardizzato a container oggi è tra 4 e 5 volte superiore a un anno fa, ma anche 10 volte superiore al 2018. L’impatto sui prezzi finali dei beni non sarà enorme, ma in qualche maniera anche per effetto di riduzioni offerta, nemmeno insignificante. Di nuovo le cause sono molteplici.
La capacità di trasporto è stata tagliata dai giganti del trasporto marittimo durante la crisi covid e le imprese sono state colte di sorpresa dalla vivacità della ripresa dei consumi, in particolare negli Stati Uniti.
Il ripristino della capacità non è facilissimo date le rigidità enormi nella ricostituzione (nuove navi che a loro volta richiedono cantieri navali che però hanno ovviamente una capacità produttiva massima). A determinare questa situazione probabilmente concorre anche la scarsa concorrenza, determinata dal processo di consolidamento potente del settore date le fortissime economie di scala. Anche in questo caso ci sono questioni da affrontare nel lungo termine, come la concorrenza, ma anche opportunità, con la possibilità che perduranti i maggiori costi di trasporto alcune imprese manifatturiere optino per il reshoring (il ritorno di produzione nelle aree vicine ai mercati) in europa. Una occasione in particolare per le zone portuali del Mezzogiorno da cogliere nell’ambito dei progetti ZES.
La terza questione riguarda le materie prime per le produzioni industriali. Il colpo di stato in Guinea, il primo produttore di bauxite, la materia prima per l’alluminio, è solo l’ultimo tassello di una serie di eventi che aggiunge preoccupazioni di un eventuale carenza di offerta. Il prezzo dell’alluminio di conseguenza è cresciuto del 40% rispetto i primi mesi dell’anno. Altri metalli hanno avuto rialzi di prezzo meno violenti, ma significativi. Anche in questo caso si tratta di un effetto temporaneo dovuto a una ripresa più forte di quanto atteso, soprattutto in Cina, ma che potrebbe determinare effetti non totalmente transitori.
Nessuno di questi fenomeni singolarmente dovrebbe avere effetti disastrosi, ma complessivamente il manifestarsi di questi squilibri contemporanei potrebbe determinare effetti non trascurabili ad esempio sui prezzi. L’inflazione negli Stati Uniti si mantiene da alcuni mesi sopra il 5%, livelli non visti da decenni e i fenomeni monetari vanno attraverso cicli che possono essere molto lunghi. In generale gli strumenti per affrontare questi squilibri sono pochi a livello nazionale.
Queste sono questioni su cui si misurerà in futuro l’utilità e la capacità di manovra dell’Unione Europea. E’ necessario che qualcuno con visione strategica come Mario Draghi le ponga e, se necessario, le usi anche per consolidare una leadership personale e costruire una centralità del nostro paese nelle decisioni dell’Unione. Rapporti con i produttori di fonti energetiche, approvvigionamenti di materie prime e questioni antitrust nei confronti degli operatori di shipping dovrebbero essere le aree di coordinamento maggiore su cui esercitarsi.
Seguici sui social