Morti sul lavoro, l'Italia è indietro
Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno
La tragedia di Firenze riporta all’attenzione la questione bruciante delle morti sul lavoro. In un anno normale (il 2022 ad esempio) in Italia muoiono circa 800 persone sul lavoro e altre 300 in itinere verso il lavoro, in comparazione gli omicidi sono solo 300. Le storie delle morti bianche dimostrano quanto sia scarsa la volontà di affrontare davvero i problemi del paese, e di quanto a fondo siano penetrate delle ideologie deleterie e sostanzialmente estrattive di spesa pubblica. Le morti sul lavoro in Italia sono tra le più elevate in Europa. Siamo l’ottavo paese nella UE per tasso standardizzato di morti sul lavoro nel 2021 con un tasso di 2,6, contro una media europea di 1,7. Probabilmente c’è una incidenza differenziale del COVID in questo dato (che però indica comunque una minore capacità del sistema di proteggere i lavoratori). In generale il tasso italiano prima del COVID si colloca circa il 20 per cento sopra quello europeo. A far sistematicamente peggio di noi sono solo molti paesi dell’est Europa e stranamente la Francia.
Potremmo evitare 150 di questi morti allineandoci alla media europea? Forse, se ci concentrassimo su dove avvengono e ne tenessimo conto. Formalmente secondo le statistiche INAIL elaborate dall’Osservatorio Vega Engineering, circa il 50% delle morti sul lavoro avvengono in tre settori: costruzioni, manifattura e trasporti. In realtà sono molti di più, dato che il 25% dei morti non è assegnato a un settore particolare. Come ci si può aspettare i morti sono quasi tutti maschi (730 su 790) e la probabilità di morire sul lavoro è 10 volte maggiore per un maschio. Gli stranieri hanno una probabilità di morire sul lavoro all’incirca doppia degli italiani, in gran parte dovuta alla prevalenza nei settori veramente pericolosi. L’incidenza è maggiore soprattutto per i lavoratori anziani, ma anche per i giovanissimi.
Dal punto di vista territoriale, se si escludono il 2020 e 21 in cui l’incidenza del COVID è distorsiva della situazione ordinaria, le regioni più colpite sono le piccole regioni montuose (Val D’aosta, Trentino, Molise, Abbruzzo e Basilicata), probabilmente per l’incidenza degli incidenti nel trasporto. Dopo queste però ci sono le maggiori regioni del sud (in particolare la Puglia) e il Piemonte. Isole felici, anche alla luce della conformazione montuosa e della prevalenza del traffico su gomma sono Sardegna e soprattutto Friuli.
Un punto di partenza potrebbe essere studiare cosa fanno di diverso in queste regioni per capire cosa si sbaglia altrove. Più in generale bisognerebbe soprattutto studiare gli ambiti territoriali, i settori e comparti, e le tipologie di lavoratori particolarmente a rischio, valutare con metodologie adeguate le performance dei sistemi di sicurezza e degli ispettorati, e concentrare le misure di prevenzione. Al contrario, il sistema di sicurezza del lavoro si è ampiamente dedicato alla missione di rendere ancor più sicuri, con corsi e abbondanti consulenti, i luoghi già più sicuri dell’universo, le amministrazioni pubbliche e gli uffici di varia natura. Per la verità questa non è una esclusiva italiana. Chiunque abbia visto la versione inglese o americana della commedia di maggior successo negli ultimi anni, The Office, ricorderà le surreali esercitazioni e lezioni di sicurezza di fatto totalmente inutili e strumentali. Particolarmente assurde sono poi le normative comunitarie in materia.
Ma l’anomalia più curiosa la troviamo sul sito INAIL. L’istituto dedica a due temi un approfondimento annuale costante: le donne e la scuola. Ovviamente ci sono anche rischi in questi contesti e su questi soggetti, che magari comportano meno rischi mortali, ma credo che ci sia una distorsione francamente inaccettabile. Ecco io comincerei dedicando rapporti costanti a costruzioni, trasporti e manifattura e agli ambiti territoriali veramente più pericolosi e alla performance relativa dei vari ispettorati territoriali.
Perché questi 1100 individui, in prevalenza uomini relativamente anziani e giovanissimi, lavoratori in settori produttivi cruciali per il paese, sono oggetto di attenzione così scarsa? Si possono azzardare molte spiegazioni: Da un lato essi sono poco ‘vocali’, sono soggetti che tendono a non essere particolarmente recriminatori sulla loro situazione, e spesso ad assumersi anche volontariamente rischi considerevoli. Inoltre, non sono sostenuti dai soggetti che si occupano di fragilità e rischi sociali, a mio parere perché non quadrano con il paradigma contemporaneo, tutto borghese, dei soggetti fragili. Non rientrano nelle categorie ‘giuste’ in altri termini.
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