Incognite della ZES unica
Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno
E’ stato pubblicato il Decreto Sud predisposto dal Ministro Fitto, il cui principale oggetto, la nuova ZES unica, è stata oggetto di discussione due settimane fa in un seminario col Ministro presso Assonime. Si tratta senza dubbio dell’intervento sul Mezzogiorno più importante almeno dal Decreto omonimo del Ministro De Vincenti del 2017, che introdusse le ZES e Resto al Sud. Oltre a modificare le ZES, il Decreto impatta sulla logica complessiva di intervento della coesione, su cui era necessaria da lungo tempo una profonda riflessione.
Da alcuni mesi risuonano i soliti allarmi di fine ciclo di rendicontazione sullo stato di attuazione della politica di coesione. In effetti se guardiamo alla spesa certificata complessivamente dall’Italia a fine 2022 (il 60% del programmato), a un anno dalla fine della rendicontazione del ciclo 2014-20, la situazione appare più preoccupante dei cicli precedenti, in cui pure si arrivò a rendicontare sul filo di lana. Peraltro, anche dove la spesa procede spedita, come in Puglia, gli effetti in termini di occupazione e crescita nel lungo periodo sono sorprendentemente scarsi.
Al contrario di quanto prefigurato dalla Nuova Programmazione ormai quasi 30 anni fa, la spartizione delle risorse, la programmazione dal basso, la necessità della concertazione su ogni progetto con ogni soggetto anche indirettamente interessato, non ha generato maggiore qualità istituzionale, ma al contrario una diffusa sfiducia certificata dagli indici europei. I risultati sono stati piuttosto frammentazione e politicizzazione dell’intervento, una logica lontana dallo sviluppo, forse per questo si scelse all’epoca il termine ‘coesione’. In questo quadro ideologico, anche interventi sistemici significativi come l’istituzione delle ZES sono andati incontro a problemi notevoli.
La riforma del Ministro Fitto cambia radicalmente quella logica. Le ZES del 2017 sono un intervento di politica industriale per incentivare l’insediamento di grandi imprese e generare poli industriali e logistici connessi ai porti, per inserirli all’interno delle catene globali del valore, in previsione di una possibile parziale regionalizzazione delle catene stesse. L’estensione all’intero Mezzogiorno di incentivi e semplificazioni è un intervento di logica diversa, che lascia interamente al mercato l’eventuale selezione delle aree su cui investire. Senza entrare nel dibattito sulla preferibilità di un modello sull’altro, va detto che il primo modello, programmatorio, ha mostrato alcuni noti limiti nel contesto istituzionale italiano. Le Regioni cui è stata demandata la programmazione hanno interpretato in larga parte la selezione delle aree ZES come una distribuzione di vantaggi, creando Zone troppo diffuse (un tanto a provincia) e disconnesse dai porti di riferimento. Di fatto ogni ZES, includendo decine di aree, ha tutte le vocazioni industriali che si possono immaginare. La ZES Adriatica, ad esempio, si estende per 600 km dal Salento ai confini del Lazio, con all’interno alcune aree collegate meglio ai porti di Napoli e Taranto che a quelli della loro zona, Bari/Brindisi, e con vocazioni ‘arcobaleno’. Il progetto di politica industriale era quindi in parte già naufragato sui problemi tipici dei programmi di coesione. Il passaggio alla ZES unica, quindi, comporta una perdita relativa visto che la programmazione non esiste.
La nuova normativa ZES corrisponde in parte alla logica delle incentivazioni automatiche. Di fatto crea per un lungo periodo di tempo, una ampia area a tassazione ridotta, una idea di stampo più liberista che programmatorio, che dovette cedere nel dibattito della fine degli anni 90 sulla Nuova programmazione, e che fu sostenuta ad esempio da Giulio Tremonti nel centro-destra e da Nicola Rossi nel centro-sinistra. Considerando il fallimento dello schema adottato allora il ripensamento era necessario e non è un caso che questa responsabilità l’assuma un Ministro che per la prima volta da un decennio ha un orizzonte di 5 anni davanti.
Con questa riforma specifica il Ministro si assume anche un’altra responsabilità importante. Dopo 7 anni, alcune modifiche importanti alla normativa del governo Draghi e nonostante le irrazionalità del processo, alcune ZES hanno cominciato a funzionare. Le autorizzazioni marciano nei tempi previsti e alcune riguardano investimenti di grande dimensione, il vero obiettivo delle ZES. La modifica della governance, con l’accentramento delle procedure in capo alla Struttura di Missione della Presidenza comporta alcuni rischi che vanno affrontati tempestivamente. In primis, le strutture della Presidenza (ex Agenzia per la Coesione) da cui proverrà parte del personale non hanno competenze in materia di autorizzazioni, ma piuttosto di coordinamento e monitoraggio. Si tratta di un cambiamento auspicabile perché coordinamento e monitoraggio sono ormai chiaramente un sinonimo di aria fritta. Tuttavia, la riconversione non è automatica. Inoltre, la gestione dei processi autorizzativi, ed in particolare delle Conferenze dei Servizi, dal centro potrà risultare più complessa. I Commissari infatti hanno agito in una atmosfera di conoscenza personale delle amministrazioni territoriali. Infine, esiste il rischio che la Struttura sia travolta da un numero irragionevole di istanze da gestire, considerando l’ampiezza dell’area.
Alcune riforme, come la Nuova Programmazione, falliscono perché il disegno si rivela intrinsecamente sbagliato. Molte di più però falliscono solo per una sottovalutazione dei vincoli nelle strutture attuative. Se i rischi sono noti però possono essere affrontati. In questo caso siamo in tempo.
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