Un piano per ridurre la distanza economica e geografica del sud
Ennio Cascetta - Il Sole 24 Ore
Cosa serve al sud per una ripresa vera dopo la terribile crisi economica e sociale del Covid19? La confermata “riserva” del 34% degli investimenti pubblici per il sud e l’utilizzazione del recovery fund messo a disposizione dalla UE offrono una opportunità irripetibile se si ha una visione, un piano concreto di interventi di varia natura che nel loro insieme creino le condizioni per una crescita del mezzogiorno più sostenuta di quella del resto del Paese per un periodo di tempo sufficientemente lungo.
Un ingrediente essenziale di un qualunque piano è un sostanziale miglioramento della accessibilità del sud per le persone, le merci e i dati da garantire in tempi brevi. Accessibilità significa servizi di connessione di qualità a costi contenuti. Senza accessibilità alle città, ai servizi, ai centri di ricerca, alle industrie, alle mete turistiche, alle produzioni agricole non c’è sviluppo, come insegnano le teorie economiche della new economic geography e della connectivity, oltre ovviamente al buon senso.
Il sud oggi ha un deficit di accessibilità notevole rispetto al resto del Paese e, soprattutto rispetto al nord. Parte di questo deficit è dovuto alla geografia che lo vede separato da catene montuose e molto più distante dal cuore economico e produttivo dell’Europa. Parte del deficit è invece dovuta alle scelte di investimento pubbliche e private che si sono avvitate nel circolo vizioso meno sviluppo, meno domanda, meno investimenti, meno sviluppo tanto caro agli esegeti delle analisi benefici costi. Il ritardo di accessibilità del sud si potrebbe argomentare con un fiume di dati e di analisi. Non è certamente il caso. Basti pensare che la rete autostradale ancora oggi non è completa e in gran parte cedente e gestita male; la rete delle infrastrutture e dei servizi di Alta Velocità si ferma a Salerno, per il resto del mezzogiorno la beffa di treni più lenti, meno frequenti, meno accoglienti e con un prezzo più alto. Per non parlare della fibra ottica e della banda ultra larga dove il sud paga un “digital divide”, ancor di più inaccettabile nella economia post covid.
Cosa si può fare? Tanto e soprattutto con i tempi giusti. Certamente serve un grande piano di investimenti in infrastrutture realizzabili nei tempi più brevi possibili. Questo piano oggi c’è solo in parte. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti negli ultimi anni ha definito scelte importanti e avviato opere di valenza storica, dalla linea di AVR Napoli Bari ai collegamenti su ferro dei principali aeroporti e di molti porti di primo livello, alle linee regionali, metropolitane e tramviarie in molte città meridionali, a iniziare dalla splendida metropolitana di Napoli. Ma siamo ancora lontani da un piano compiuto, su molte scelte di fondo c’è stata una colpevole inerzia nello sviluppo di progetti già definiti da tempo con il rischio di non averli pronti quando saranno disponibili le risorse nazionali ed europee. Un esempio per tutti. Ancora oggi non c’è un progetto per il completamento dell’asse ferroviario Napoli Palermo, individuato come priorità già dal 2016. Dopo anni di inerzia il Decreto Rilancio finanzia il progetto di fattibilità della tratta Salerno Reggio Calabria, ma progettarla senza decidere se proseguirà con l’attraversamento stabile dello stretto di Messina (che potrebbe essere una infrastruttura molto meno costosa ed impattante del vecchio progetto di ponte ormai abbandonato) indica una mancanza di visione prima che un errore tecnico.
Ma anche se avessimo un piano completo e cantieri aperti dovremmo attendere molti anni prima di beneficiare della migliore accessibilità. Un tempo incompatibile con la fase decisiva che si aprirà nel dopo covid. Bisogna predisporre da subito un piano di accessibilità “compensativa” che consenta di anticipare gli effetti degli investimenti infrastrutturali ed evitare scelte che possono addirittura ridurre la accessibilità pre covid.
Tre esempi concreti. Per ridurre i ritardi delle reti autostradali e ferroviarie per il trasporto merci è necessario prevedere degli incentivi. Da qualche anno sono stati sperimentati con successo incentivi al trasporto ferroviario e alle autostrade del mare. Incentivi estesi fino al 2022, ma non basta. Vanno resi stabili e più “intelligenti” per garantire un trasporto più intermodale e sostenibile fino alla disponibilità delle infrastrutture che essi surrogano in modo da poter influenzare le scelte di lungo periodo degli investitori. Per compensare l’esclusione del sud (e non solo) dalla rete dei servizi di Alta Velocità si potrebbe introdurre un bonus AV, ossia un contributo dello Stato da assegnare a gara alle imprese ferroviarie che si impegnano a fornire treni di livello AV con frequenze e prezzi paragonabili a quelli offerti sulla rete a mercato (Torino-Salerno per intenderci) sulle principali relazioni intra sud e sud nord oggi fuori dalla rete. Insomma rispetto ad investimenti di decine di miliardi di Euro che forniranno i benefici in futuro si tratterebbe di anticipare da subito qualche centinaio di milioni per un incremento di accessibilità immediato, anche se non equivalente. Fondi che dovrebbero essere visti anche in Europa come un’anticipazione degli investimenti stessi piuttosto che come sussidi.
Infine gli errori da non fare. I collegamenti aerei di compagnie low cost sono stati fondamentali per la crescita del turismo e per garantire un’accessibilità del sud da e per il nord Italia e l’Europa con frequenze e costi non ottenibili altrimenti. A Napoli più del 50% delle destinazioni e dei passeggeri nel 2019 era garantito dalle compagnie low cost. Percentuali maggiori a Catania e Palermo. La decisione di statalizzare l’Alitalia rischia di creare distorsioni della concorrenza a sfavore delle low cost. Un rischio enorme e non accettabile per l’accessibilità del sud che finirebbe per pagare il prezzo delle politiche del trasporto aereo nazionale.
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