Un Recovery Plan davvero europeo, anche nelle regole
Andrea Boitani e Maurizio Maresca - Lavoce.info
Un piano di spesa per lo European Recovery Fund
La Commissione europea, spinta da vari paesi membri, sta studiando una serie di misure per fronteggiare “con una sola voce” la grave crisi economica e dei mercati a seguito dell’emergenza Covid-19. L’ipotesi è quella di un recovery plan ambizioso, sostenuto finanziariamente dallo European Recovery Fund e governato dalla Commissione. Un piano saldamente incardinato nei Trattati e nei regolamenti, che non hanno certo bisogno di essere stravolti o superati per avviarlo.
I titoli (meglio se irredimibili) – garantiti da un apposito fondo comune istituito con i contributi degli stati membri – che l’Unione dovesse collocare non darebbero necessariamente luogo né a prestiti ai paesi né a trasferimenti a fondo perduto, come spesso si tende sinteticamente a prevedere, ma a veri e propri investimenti dell’Unione, seppure, in molti casi, avvalendosi delle strutture degli stati membri. Un po’ come nel caso delle infrastrutture (di cui ai regolamenti 1315 e 1316 del 2013) che fanno parte delle reti europee: i progetti sono approvati e finanziati dall’Unione, ma realizzati (almeno in parte) dagli stati in base alla loro legislazione interna.
La capacità di elaborare progetti competitivi
In un simile quadro è in primo luogo decisiva la scelta dei progetti da presentare alla Commissione. È evidente che se il paese proporrà iniziative di modesta consistenza strategica o di trascurabile interesse comune, la Commissione non si sentirà vincolata. E, di nuovo, vi saranno da attendere le critiche degli stati del Nord Europa.
Sotto questo profilo l’Italia deve recuperare in fretta molta capacità progettuale, di politica industriale e dei trasporti per essere credibile a Bruxelles e beneficiare appieno del piano di ricostruzione. Tanto più che rispetto ad altri paesi c’è davvero molto da recuperare. Ricerca scientifica di base e applicata, sanità, istruzione, industria, riqualificazione ambientale, consolidamento del territorio a rischio, trasporti e, probabilmente, agroalimentare costituiscono gli assi intorno ai quali costruire per promuovere la ripresa del continente, rafforzando anche competitività ed efficienza.
Il modello Genova e oltre
Per realizzare i progetti approvati dalla Commissione, sono però indispensabili alcuni cambiamenti nella legislazione sugli appalti, partendo da quello che è stato chiamato “modello Genova”. Da una parte, per assicurare la realizzazione di progetti infrastrutturali approvati e finanziati con risorse proprie dell’Unione, occorre essere certi che il sistema delle regole funzioni. Occorre, cioè, una norma a carattere generale che escluda l’applicazione di tutte le procedure previste dal codice dei contratti (decreto legislativo 50 del 2016) e da altre norme primarie interne (ad esempio la legge 84 del 1994 in materia di porti), cui si aggiunge la normativa secondaria, per esempio dell’Anac (Autorità nazionale anticorruzione).
La normativa nazionale sugli appalti e sulla responsabilità dei pubblici funzionari è probabilmente nata con l’obiettivo di combattere la corruzione. Ma ha avuto effetti devastanti sui tempi di aggiudicazione degli appalti e, quindi, di realizzazione delle opere. Se il responsabile del procedimento (il cosiddetto Rup – responsabile unico del procedimento) deve rispondere con il proprio reddito e patrimonio dei danni erariali causati da una gara contestata con successo presso il Tar da un ricorrente, è logico che tenda a ripararsi sospendendo le procedure di aggiudicazione e rinviando la realizzazione delle opere alle calende greche. Una simile anomalia (perché altrove in Europa le cose vanno diversamente) causa gravi costi al paese, ma è ovviamente del tutto inaccettabile nell’ambito di un grande programma di spesa europeo. Dovrebbe invece essere mantenuto centrale il rispetto delle norme europee in materia di mercato interno e dei vincoli previsti dalle direttive 23 e 24 del 2014.
Poiché si tratta di progetti strategici, alcune misure sono necessarie per evitare l’abuso del diritto o liti anche non temerarie che, di fatto, contribuiscono a rallentare le procedure e l’esecuzione di appalti o concessioni, interagendo in maniera perversa con la responsabilità degli amministratori. Occorre prevedere che le scelte fatte dall’Unione o dagli stati per assicurare la realizzazione dell’interesse pubblico nel contesto del recovery plan non possano essere sospese da parte della magistratura amministrativa, se non in casi predeterminati. Nessuno mette in dubbio il risarcimento dei danni in caso di illecito, ma quando si tratta di progetti strategici la sospensiva deve davvero essere l’ultima ratio e la sua pronuncia deve essere circoscritta a casi prestabiliti. Queste due modifiche sono centrali per un paese come l’Italia.
Il commissario straordinario
Un “contrappeso” alle esclusioni di cui sopra è rappresentato dalla nomina di un commissario straordinario. È evidente che solo un commissario – diretta espressione del vertice e che si avvalga degli uffici della presidenza, esattamente come è successo nel caso del Ponte Morandi – può bilanciare la mancata osservanza delle norme, per esempio, in materia di anti-corruzione o di quelle previste dalle numerose disposizioni contenute in leggi speciali. Riprendere il modello Genova significa, insomma, affidarsi a personalità di comprovata qualificazione e serietà, e che godono dell’appoggio indiscusso della politica.
Questo è il punto probabilmente più delicato. A Genova il “metodo” ha funzionato, ma va costruito con una regola di segno generale. Sono da evitare i classici commissari straordinari italiani o i coordinatori europei: figure che, in genere, hanno prodotto modesti risultati. Una ipotesi potrebbe essere designare una funzione (commissario o coordinatore) che beneficiasse del rapporto diretto con la presidenza della Commissione europea e con i premier nazionali e che si avvalesse, quindi, come è avvenuto nel caso di Genova, di un proficuo rapporto con le strutture europee e nazionali. La nomina potrebbe essere decisa di concerto fra la Commissione europea e i governi nazionali, magari previo parere delle commissioni parlamentari competenti.
Quella del recovery plan potrebbe essere una straordinaria opportunità per uniformare le regole italiane alle migliori pratiche europee e alle norme comunitarie. Anche così lo European Recovery Fund aiuterebbe il nostro paese.
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